Anni fa, durante il contrappello, un Maresciallo istruttore della Scuola Carabinieri di Roma invitò
gli allievi che indossavano la divisa in modo non del tutto appropriato a riflettere sul significato di
Uniforme. “Unifórme agg. [dal lat. uniformis, comp. di uni- e -formis «-forme»]. – Che ha una sola e medesima forma, un solo e medesimo aspetto… (treccani.it).”
Ciò che indossiamo tutti i giorni per espletare il servizio è la nostra Uniforme ma l’uniformità non
può non tener conto della differenza di genere tra i militari che dell’Arma dei Carabinieri fanno
parte. Pare che ci siano ancora oggi reparti per i quali, anche se la presenza delle donne non è più
una rarità, non siano stati pensati indumenti per le donne costrette a indossare capi d’ordinanza non adatti alla loro fisicità e che quindi ne compromettono non solo l’aspetto esteriore ma soprattutto, la libertà di movimento e l’efficienza. Molte colleghe che prestano servizio presso Reparti Radiomobili hanno palesato la loro difficoltà nell’indossare i pantaloni forniti
dall’amministrazione, poiché esclusivamente maschili. C’è inoltre un ulteriore aspetto da
segnalare ed è quello del giubbotto antiproiettile; esistono infatti GAP (giubbotto anti proiettile)
femminili eppure sono rarissimi. Ciò significa che le nostre colleghe che prestano servizio per
strada indossano un sistema di protezione individuale non idoneo e quindi non funzionale.
A questo proposito Usmia Carabinieri ha sollecitato il Comando Generale dell’Arma dei
Carabinieri a rimediare all’anacronistica lacuna e a farlo interpellando proprio quelle persone che
quei nuovi capi dovranno indossare e cioè le donne, perché pare ovvio che i soggetti più indicati a trovare le soluzioni ad un problema sono coloro che quel problema lo vivono.
Roma, 15 giugno 2022
Il Dipartimento Pari Opportunità di USMIA Carabinieri